Orgoglio e pregiudizio, partitura di passionidi Alessandra Stoppini
"Non possiamo stare senza Jane Austen. Perché? Tra gli appuntamenti  letterari di rilievo per capire che rivoluzione fu il romanzo nell’800  e  perché esso continui a parlare anche per questo tempo, c’è quello con  la “sorella minore di Shakespeare” – come la definì G. H. Lewes. Il  “caso austeniano” ha la capacità di aizzare continui dibattiti critici:  l’autrice è estremamente amata oppure altrettanto odiata, come ha  lasciato intendere Mark Twain, che, davanti ad Orgoglio e Pregiudizio,  veniva preso da un’incontrollabile “voglia di dissotterrarla e picchiare  il cranio con la sua stessa tibia” (però la leggeva!).  Cosa si cela  dunque dietro la commedia umana che Miss Austen, nata a Steventon l’anno  1775, ci ha consegnato in sei tomi e poco più, e di cui il cinema  continua ad impadronirsi? (*)
Non certo la realtà a senso unico e  semplificata di chi, ai tempi, considerava Orgoglio e Pregiudizio, Emma e  gli altri libri alla stregua di romanzetti rosa, ma la voce di  un’intelligenza arguta, dotata di un’ironia pungente e talvolta amara.  Una “disegnatrice di caratteri, la più perfetta artista tra le donne” –  disse di lei, molti anni dopo, Virginia Woolf, sottolineandone così la  suprema oggettività, in prodigioso equilibrio tra i due secoli  tumultuosi a cavallo dei quali scrisse.
Una “sociologa”, insomma, che ha attraversato la Storia riproponendola  in un microcosmo provinciale/universale, per inquadrarne i tipi umani.  Per questo il cinema continua a trasporre le storie nate dalla Austen,  grata che la porta dell’umile salottino cigolasse, permettendole di  nascondere in tempo le “sudate carte” alla vista di chiunque. Risale al  1940 il primo apprezzabile, ma per certi versi ingenuo tentativo con  Orgoglio  e Pregiudizio, in cui vestì i panni dell’introverso Mr Darcy un  perfetto Laurence Olivier nel pieno della carriera. Ben 65 anni dopo, il  romanzo fa ritorno sul grande schermo con la Working Title Films.
La sceneggiatura ha attinto a piene mani dalla superba prosa austeniana,  dando vita a un film che “ha cercato di esserne l’equivalente  diegetico”, ha dichiarato il regista Joe Wright. È stato possibile  mettendo a fuoco il particolare – nei costumi, negli ambienti, nelle  musiche – che non è solo cornice estetica, ma vigorosa pennellata  dell’autrice su una tela magari di breve raggio geografico, ma ricca di  profondità e prospettive: un’opera realista, specchio di ieri e di oggi.  
Il casting è coerente: ai mostri sacri Judi Dench e Donald Shuterland  (Lady Catherine e Mr Bennet) si sono affiancate giovani promesse, tra  cui l’incantevole astro nascente inglese Keira Knightley, nomination  agli Oscar come “miglior attrice protagonista”. Completa il quadro la  colonna sonora del pisano Dario Marianelli (poco noto, ma veterano della  musica da film, recente autore anche di quella per I fratelli Grimm e  l’Incantevole Strega).
Wright ha citato la prima sonata per piano di Beethoven come chiave  d’ispirazione e Marianelli è partito con l’idea di scrivere un tipo di  spartito che anche Jane Austen potesse aver ascoltato; una musica che  fosse sottofondo alle risate di Lizzy, agli schiamazzi delle sorelle  minori, ai rumori della farm, punteggiatura di un quotidiano che Jane  Austen ha vissuto e fatto vivere alle sue eroine, giovani o addirittura  adolescenti, che si guardano attorno con ardore e giungono, attraverso  l’innamoramento e la sofferenza, alla consapevolezza di sé; oppure  degenerano e diventano “pecorelle smarrite”.
L’intelligente e anticonformista Elizabeth ha 20 anni, Mr Darcy 28 e la  testa calda dei Bennets, Lydia, addirittura 15. 
L’emotività che provano è  quella dei giovani che amano per la prima volta. Tutto riecheggia in  una colonna sonora soave quanto incisiva, perché centrata, in un  crescendo, sull’eroina Elizabeth Bennet, sui suoi vissuti e  stravolgimenti interiori: ecco che gli assoli di pianoforte diventano la  voce del suo spirito indipendente e pieno di vita, e dello scorrimento  della trama, ricordando lo stile della sonata dell’epoca. Momento  incipitario del film è la soggettiva, accompagnata dal delicato “tema di  Elizabeth” – (...) Tante altre  efficaci note – dai fiati e tamburi della marcia della milizia,  all’assolo di sensuale clarinetto per Lizzy nella “Galleria delle  sculture”, al folk dei balli di società – fanno della colonna sonora la  fresca trasposizione del “frammento di un’epoca” che certamente Miss  Austen avrebbe apprezzato.
Da Il Giornale di Brescia , 13 febbraio 2006 - la fonte -
Una recensione che condivido completamente e soprattutto nei passaggi dedicati alla scrittrice Jane ! E voi che ne pensate ?! Volete scrivere la vostra recensione.. o il vostro commento sulle tante e interminabili trasposizioni Austen ?!
 
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